IL RICHIAMO DELLA FORESTA
- Uliano Massimi
- 30 nov 2016
- Tempo di lettura: 4 min

Da un po’ sto aspettando il martin pescatore. Lo sento sfrecciare attraverso la foresta emettendo quel suo inconfondibile richiamo. Lo aspetto, binocolo in mano, seduto su un tronco ricoperto di muschio sulla riva di uno dei tanti corsi d’acqua che attraversano la selva del Korup National Park nel Camerun nord-occidentale. Al campo poco lontano ci sono Chief, la guida, e Rudolphe, il portatore –cuoco alle prese con i fornelli. Oggi il menu’ prevede spaghetti con salsa di pomodoro, dado, olio di palma, carote e cipolle tagliate, arachidi tostate e macinate e quel che resta del pesce acquistato a Mundemba. Il sugo verra’ cucinato a bagno maria dentro una bottiglia di plastica tagliata a meta’ immersa nell’acqua bollente dove verra’ cotta la pasta. Solo per veri intenditori…………….


Giganti di cellulosa svettano diritti verso il cielo, verso la luce solare, fonte
di vita. Sono gli alberi della canopea, quelli con la chioma piu’ frondosa e con i tronchi piu’ grandi tanto che al loro cospetto noi scompariamo. Radici avventizie si propagano dappertutto attorno al mostro garantendogli quella stabilita’ tanto necessaria in uno strato di humus spesso pochi centimetri. Enormi liane lunghe decine di metri lo avvolgono a spirale o gli penzolano tutt’attorno legando la loro vita al suo destino. Muschi e licheni di specie diverse ne tappezzano il tronco. Al di sotto della canopea ci sono altri tre strati vegetazionali fino a raggiungere la lettiera della foresta, 50-60 metri piu’ in basso dove la luce solare arriva con fatica e dove una miriade di pianticelle trascorrono lunghi anni in attesa che un evento catastrofico, una malattia o semplicemente il tempo facciano precipitare il gigante trascinando con se’ tutti gli esseri animali e vegetali che lo occupavano piu’ o meno abusivamente. Tante volte, soprattutto dopo forti piogge, ho sentito un forte rumore di legno che si spezza, un lungo fruscio seguito dopo pochi secondi da un boato. Ma il gigante non sara’ morto invano. Il varco di luce sara’ presto richiuso da numerose piante in competizione fra loro per raggiungere la canopea…………….

D’un tratto Chief si arresta di colpo. Un fischio e una sagoma si allontana velocemente nel fitto della foresta. Il cefalofo blu e’ poco piu’ alto di una lepre, ma si tratta di un antilope. Una coppia di buceri “ gracchiano “ nascosti tra il fogliame della canopea. Riprendiamo la marcia in questo mondo monocromatico facendo attenzione a dove mettiamo i piedi. I nostri passi, ma ancor di piu’ il nostro odore rivelano la nostra presenza. Alcuni cercopitechi dal naso bianco si muovono agili tra il fogliame inseguiti affannosamente dal mio binocolo. Qualche volta si fermano, osservano quei strani esseri animati, si dondolano avanti e indietro e continuano indisturbati la fuga.
Un gruppo di colobi compiono balzi acrobatici da un albero all’altro mentre si spostano alla ricerca di cibo. Farfalle multicolori svolazzano davanti al mio naso. Improvvisamente Chief accelera il passo fermandosi poco dopo. Formiche. Mille, diecimila, centomila, un milione di formiche legionarie in rapido spostamento attraverso il suolo della foresta. Quelle microscopiche masse biancastre sul corpo delle operaie sono le uova. Strada facendo saccheggiano tutto cio’ che incontrano: piccoli artropodi, ortotteri, ditteri, ogni tipo di insetto viene letteralmente attaccato, sezionato sul posto e trasportato fino alla prossima “casa”, cibo per la colonia. I soldati, lunghi un centimetro, dalle forti mandibole, attaccano tutto cio’ che costituisce un pericolo per la colonia. Anche io in quel momento costituisco un pericolo. Osservo la colonna di formiche per un breve tempo, il tempo necessario ad una ventina di soldati di attaccarmi. I morsi sono dolorosi ma sopportabili. Fortunatamente non hanno veleno da inoculare. A volte le mandibole sono cosi’ ben piantate nella carne che nell’atto di toglierle il corpo si strappa dalla testa………………….
Che dire di quel minuscolo granchio rossastro incontrato nei pressi di un corso d’acqua, di quella mantide religiosa sfuggita ai piedi dei miei due amici, o di quel rospo del colore di una foglia secca?
L’incontro inaspettato con l’anfibio mi ha riempito di gioia al termine di una giornata avara di incontri animali. Ci siamo osservati a lungo prima di continuare ognuno per la propria strada. Chissa’ se, la sera, a casa con la famiglia, avra’ avuto il coraggio di raccontare dell’incontro con il piccolo Velociraptor forse scampato all’estinzione dei suoi simili?......................

Sul far della sera gli uccelli si zittiscono forse per non rivelare il loro nascondiglio ai predatori notturni, le scimmie interrompono le operazioni di “spulciamento” sulla canopea, i pipistrelli scaldano i muscoli pettorali svolazzando nei pressi delle loro caverne, gli uomini accendono i fuochi o le lanterne attorno ai quali consumeranno i frugali pasti serali. Allietati da un sottofondo musicale di grilli e cicale scambiano le esperienze della giornata. I mammiferi escono dai loro rifugi diurni in cerca di cibo. Tra loro ce n’e’ uno, l’irace degli alberi, che attira la mia attenzione.
Forse per delimitare il proprio territorio ed avvertire i suoi simili della sua presenza emette il richiamo piu’ bello e misterioso che abbia mai udito. Un suono con cadenza costante e di tonalita’ sempre piu’ alta fino a quando, all’apice dell’intensita’, smette per alcuni minuti riprendendo in un luogo apparentemente lontano dal precedente. La notte, a volte impossibilitato a dormire per il gran caldo, mi sono ritrovato spettatore del concerto della Natura mai uguale e mai noioso che neppure il piu’ grande maestro compositore sarebbe in grado di eguagliare…………….
Aprile 2014


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